la società dei devianti

domenica 29 maggio 2016

CIO’ CHE FUNZIONA E CIO’ CHE NON FUNZIONA NE LA SOCIETA’ DEI DEVIANTI


Premesso che questo è un pezzo che andrebbe letto fino in fondo, quindi non adatto al navigante medio di blog o di social, abituato a sbocconcellare i post e subito sputarli. Ciò detto La società dei devianti è un libro scritto in quattro e quattr’otto, sette mesi scarsi, per finire di dire ciò che ne Il manicomio chimico andava detto: l’intuizione che il potere ci vuole sempre più anormali, devianti, per poterci poi corregge, ecco, quest’intuizione mi pare buona, ma hanno ragione Manano e Paola, l’avvocato che mi para dai causidici e la metereologa che mi avvisa del maltempo, entrambi sono stati i miei editor aggiunti, che hanno letto il manoscritto quasi definitivo: è rimasta solo un’intuizione.
 
Mi dice Manano (ecco che mi crogiolo un altro po’ nell’auto fiction, l’auto fiction, sostiene Antonio Pascale in un articolo recente, è quella cosa che vuole finalmente fare a meno del narratore ottocentesco onnisciente, colui che sa tutto e non ti mette a parte di ciò che succede nel retrobottega dello scrittore, auto fiction è raccontare al lettore anche come lavora il manovratore mentre scrive, i suoi dubbi, la costruzione del libro, eccetera) che dopo Il manicomio chimico le aspettative sono più alte, lui per primo ce le aveva più alte, e con questo terzo libro non è che le abbia propriamente mantenute. Oltre a questo, da bravo avvocato mi suggerisce di addolcire il pezzo sul Fuoco amico sui CIM. Lo accontento. Addolcito il pezzo. Ora il pezzo è talmente amichevole, mi conforta Manano, che quel tuo collega invece di querelarti ti scriverà per ringraziarti (il pezzo dopo molti ripensamenti in realtà lo elimino proprio, e Manano, serafico: un rosicone di meno). Invece Paola ho come l’impressione che anche quando legge i manoscritti in corso d’opera riesce a essere metereologa: sa prevedere come andrà a finire, ciò che funziona e ciò che non va, i capitoli dove fa bel tempo e quelli dove piove, perfino quelli dove parte col sole e t’illude ma poi d’un tratto il cielo si chiude e diluvia. 

Dice: il contesto da dove ti scrivo (il suo ufficio in cima a una specie di osservatorio astronomico) non mi aiuta a trovare ispirazione, per quanto tenti (inutilmente) di astrarmi, immaginandoci a chiacchierare in qualche bettola di Centocelle, accompagnati da vino di dubbia qualità. Per cui rinuncio a dare al discorso una parvenza di dignità letteraria, una sua coerenza, qualcosa di vagamente confrontabile coi carteggi testimoniati dal tuo libro, per capirci, e sacrifico (come fai tu) il mio piacere di scrivere al raggiungimento dell’obiettivo.

Dice: faccio fatica a dare un giudizio sul tuo libro, prevale in questo, più che negli altri, la natura di compendio, collezione eterogenea di pezzi. E a questo proposito il sottotitolo altri scritti di psichiatria… mi pare azzeccato (più del titolo stesso, un po’ fuorviante; e per inciso, I dolori del vero psichiatra non sarebbe stato male).

Continua: potresti ribattere che questa è un’ovvietà, che è nella natura stessa del riluttante scrittore, un suo tratto distintivo: però ho come l’impressione che ne i devianti sia più preponderante questo aspetto, meno chiaro l’obiettivo della dissertazione. Ho cominciato la lettura scevra da preconcetti sul contenuto (che in effetti non mi avevi anticipato). E per tutta la prima parte mi era parso che volessi riprendere il tema del precedente ma in chiave più sociologica (sto semplificando molto, ma è per capirsi). La felicità, l’OMS, le performance, i devianti eccetera. Anche se un po’ troppo appendice del Manicomio, personalmente  la cosa mi piaceva, e io avrei proseguito su questo registro (ma non a caso il riluttante sei tu).  Anche perché, per dirla tutta, il racconto, la caratterizzazione dei personaggi, i dialoghi (più o meno reali) coi pazienti sono (tra) i tuoi punti forti. Ma l’impressione è che a un certo punto il discorso s’interrompa d’embleè, per virare (deviare!) a un compendio di esperienze, riflessioni, situazioni di vario genere vissute nell’ultimo anno e, talvolta, messe dentro un po’ a ogni costo, anche quello di replicare un po’ troppo concetti già ampiamente espressi. Non dico sia per forza un difetto, e se anche lo fosse sembra ben  camuffato dalla scelta del modello Carrère con alta dose di Cipriano. L’appunto che potrei fare è che non sempre tutto ciò mi è parso voluto. 

Mi soffermerò allora poco su ciò che mi è piaciuto, perché in questa sede è inutile. Anche se non sempre riesci a mantenere costante il livello, di punti forti nella tua scrittura ne hai: la capacità di mescolare due registri distanti, passando con estrema rapidità dall’uno all’altro: un primo letterario, raffinato, ricercato e il secondo prosaico, colloquiale, ma altrettanto ricercato. Ti lanci (qualche volta temerariamente) a giocare con le regole stesse della lingua scritta (esercizio ovviamente legittimo per uno scrittore ma anche ambizioso) muovendoti un po’ come un equilibrista. Ma questo implica qualche rischio di cadere. 

Bello e tutto necessario il Carteggio con la madonna, Se 87 ore vi sembrano poche, Il mio amico Birdman, e molto bello il pezzo sulla Depressione, tra i più significativi.  Un altro tuo punto forte (e mi dispiace per la tua psicanalista di riferimento) non lo definirei una mera capacità di divulgare, di trasferire il tecnico alla massa, ma qualcosa di diverso, secondo me, di più letterario, più intenso, ma ora non mi soffermo.

Non mi è piaciuto I nichilisti devoti. Ovvio che potrebbe essere il tema più originale del libro e forse, data l’attualità, anche quella più attraente ma, come già nel tuo articolo su repubblica, non mi è chiaro il senso ultimo della tua dissertazione (ma forse è un mio limite). E non mi sembra neppure particolarmente ben scritto (rispetto agli altri, s’intende). Ma proverò a rileggerlo. Perplessità per Il fuoco amico sui CIM (perché viene troppo fuori la tua natura un po’ rosicona): avrebbe guadagnato portando la polemica su un piano più libresco e meno personalistico. Il tandem La chiesa è un manicomio e Basaglia e l’impossibile: mah, non mi è piaciuto. Il primo mi è parso un po’ naif, il secondo, sinceramente, inutile, ripetitivo, rispetto a concetti già espressi ampiamente nei precedenti libri. Tu Hikikomori sul balcone: non so...  buono per la posizione su vaccini (che almeno non ti scambiano per un complottista), ma forse meno autobiografia avrebbe marcato una qualche differenza. 

E veniamo alle ripetizioni, le definirei di tre tipi: quelle casuali (delle quali non ti accorgi), quelle che usi come tratto distintivo (o forse per marcare una tua vicinanza con gli ossessivi, o non so). Infine quelle conseguenza del montaggio, difetti di  postproduzione insomma. Li chiamerei effetti di bordo, e in generale riguardano gli incipit dei vari capitoli. Sono meno rispetto agli altri libri, ma proprio necessari? 

Esempi - per non tediare alcuni li ometto, ma erano fichi, tipo:
Capitolo 5 "Sono uno psichiatra, ciononostante (...) fobico del  del volo" ( be’ che sei uno psichiatra s’era capito) se vuoi mettere in luce una contraddizione (c’e`?) tra le due cose lo esprimerei diversamente
"Basaglia dice, Franco Basaglia ha detto" ... ecco questo lo trovo un po’ stucchevole, Lo so che e` una scelta, lo so che ne vuoi enfatizzare la figura, ma io non sono sicura che renderlo un vate, oracolo e soprattutto in modo cosi ossessivo sia il modo migliore (non sarà controproducente?) 
Discorso a parte i primi due capitoli del libro: senza dubbio rivedrei il primo capitolo, anzi darei priorità assoluta! Sia nella struttura che nello stile (soprattutto). L'ho trovato un po’ farraginoso alcuni periodi difficili da interpretare, li renderei più fluidi: è la porta di ingresso al tuo al libro, anzi alla trilogia stessa, è importante. Funziona bene quando parli del libro di Basaglia e consorte ma la parte su Carrère andrebbe scritta meglio. Non dico di toglierla ma proverei a renderla leggermente più letteraria (così ha la forma dei whatsapp che mi mandavi per spiegarmelo).
Una nota di colore ....sulle cose autobiografiche un po’ mi astengo, ma sta cosa che corri a torso nudo ha un significato recondito? Se lo fai per caratterizzare il personaggio (un po’ alla Montalbano per capirsi) a sottolineare un vezzo che si ripete può pure andare ... se no toglilo che già l'avevi detto nell'altro e a me non me pare proprio così fondamentale (mi sfugge qualcosa?).

Mi fermo, che potrei continuare chissà per quanto. Giusto una precisazione. Quanto ti ho scritto è il punto di vista della lettrice forte, marginalmente dell’amica, pochissimo della sorella tormentata di paziente psichiatrico (ex). Mettere insieme tutti questi ruoli (che invece nel corso della lettura si sono continuamente alternati) gestendo la continua dicotomia tra la mia componente emotiva e quella iper razionale,  sarebbe stato un obiettivo davvero troppo ambizioso. 

Ecco, questa è stata la prima tranche di osservazioni metereologiche. Correggo diligentemente. Invio i capitoli corretti, e la fisica meterologa prestata alla mia scrittura con zelo risponde.

Il primo capitolo mi pare molto meglio, ora, caro Cipriano. 
Fila di più. Il pezzo sui riluttanti (che in effetti era tra i più discutibili formalmente) ha guadagnato molto dalla ristrutturazione, molto più scorrevole e godibile. Buona idea rimuovere tutta la storia dei marchettari che suonava pure un po’ ingenua (come considerazione generale, nel contesto del libro, eviterei di mettere la mani avanti, giustificarti o simili). 
Magari l'espediente "va bene, va bene Cipriano etc ..." non mi pare tra i migliori possibili (so’ rompicoglioni lo so) ma se proprio non trovi altro...
Pure il pezzo dove liberi la tua voglia di scrivere mi pare efficace.  Per quanto quel "Allora si (....) allora si...."  che m'e` suonato male dalla prima volta proprio non mi va giu. Ma credo dovrò farmene una ragione.
Riguardo Carrère  forse avrei limato un altro po’ .... 
(come piccola digressione, a giudicare dall'uso spregiudicato della punteggiatura, questo capitolo mi pare assai più bolaniano).
Capitolo 17: premesso che giusto al Riluttante verrebbe mai l'idea di mettere insieme Micaela Ramazzotti (che per inciso  m'e` sempre parsa inquieta) e "l'eterogenesi dei fini" in uno stesso scritto, anche qui la ristrutturazione ha funzionato. Il cappello sugli OPG ci sta molto bene e mi pare renda la cosa meno avulsa dal contesto. Se non sbaglio la parte dove Virzì ti provoca sulle opinioni riguardo il tuo libro non c'era prima: non e` male, anzi è carina. 
Non è un giudizio ma solo una constatazione: da lettore (o forse ancor più da lettrice), attraversare il guado emotivo tra La pazza gioia (coinvolgente parecchio, ci sai fare con le emozioni quando ti ci metti, eh!) e il concorso nelle REMS del Lazio non è stato facile da attraversare, il salto di registro (voluto, credo) è notevole, non ci lasci neanche il tempo di girare pagina per riprendere fiato....

(Altra digressione: dalla dose micidiale di "chimico/i" rifilata in poche righe, deduco che la mia osservazione a riguardo non è stata gradita. E pazienza, dai, probabilmente hai ragione tu, è più immediato, una prerogativa che a me manca). 
Rispetto alla mail precedente mi sono accorta che, erroneamente, avevo incluso anche La nostalgia del manicomio tra i capitoli "deboli". In realtà non è così, c'e` tutta la parte sui TSO che è importante. E’ la ridondanza con alcuni passaggi del precedente che non mi convince.
Ma, detto questo, tu vorresti rovinare tutto inserendo un pezzo su di me o su queste cose che ti ho scritto? Certo che no, non ci sta bene per definizione e in qualità di "editor per un giorno" (per affetto, decisamente  e pure un po’ per piacere), casso questa ipotesi senza appello. Che poi cosa ci sarebbe da dire? mi sfugge. 
Ho visto poi che hai aggiunto alla lista dei "riluttanti di mezzo" anche un fisico. Immagino sia io.  A parte non mi pare ci stia benissimo (in effetti nessuna delle azioni si associano), certo in generale, mi ritengo una riluttante. Lo sono (e sono stata) per molti versi e in diversi occasioni della vita, pero’ qui no: mi sembra davvero un po’ poco qualche osservazione, più o meno valida, sul tuo manoscritto,  per potermi fregiare di questo titolo.

Correggo ancora. Lei risponde di nuovo.

Sulle prime pensavo di mandarti solo qualche scarna osservazione (di tipo puramente formale) sul primo capitolo o cose sul genere di "piuttosto che" o forse niente.
Poi ho riacceso il tablet e mi sono messa lì a leggere le variazioni in giallo a Società dei devianti e nosologia etc... e complice forse uno stato d'animo un po’ più inquieto l'approccio è cambiato.
Ero anche (e ancora lo sono) un po’ scettica sull'idea che abbia senso scrivere queste mie ulteriori osservazioni.
Ma va be’ alla fine mi tengo la mia inquietudine e eccomi qui. Sulla nosologia: scrivere di un capitolo che non sai se lo terrai potrebbe essere un po’ un capriccio da scrittore  che comunque rientra nel personaggio, ma se concedi (davvero) questa confidenza al lettore almeno spiegagli il perché. Se lo lasci scritto, il lettore ha diritto a sapere perché alla fine sta leggendo qualcosa di cui tu stesso non eri convinto e hai sentito la necessità di farglielo sapere E siccome anch'io non lo so non posso darti un parere (casomai lo volessi).

Società dei devianti: nel giro di poche righe scrivi che non sapevi che titolo dare, che il libro era prematuro, che non doveva esserci ma c'è, che il titolo è il primo che ti è venuto in mente e che il libro è buttato lì ....e insomma mi pare un po’ troppo. Se alla fine il senso è che prima hai scritto uno sul manicomio fisico, poi uno su quello chimico e mo’ uno su quello distribuito (sai tipo gli alberghi distribuiti...) o cosa sia e qualsiasi sia la ragione, insomma la rivendicherei, farei girare la cosa intorno a questo concetto! E quello che scrivi va bene, lo spiega, ma togliere almeno qualcuna (mica tutte eh) delle suddette affermazioni forse lo farebbe emergere un po’ meglio.
Sono abbastanza convinta di questo punto, ma poi chissà forse ti snaturo, forse ti do suggerimenti da iper razionale con scarso senso artistico. Valuta tu.
 
Sul resto pensavo di scriverti questo: nel primo capitolo mi chiedevo come mai avessi tolto completamente la parte sul piacere drogastico di scrivere. Non che la cosa mi dispiaccia, cosi e` molto più agile (quella parte la trovavo un po’ forzata) e personalmente se fossi io a scrivere svelerei il meno possibile della mia intimità di scrittore (quello che farei io dovrebbe essere irrilevante ma non lo è e un po’ come in meccanica quantistica non è possibile osservare un sistema senza perturbarlo...). E si potrebbe fare una disamina sull'opportunità di scrivere dell'opera nell'opera ma vabbe’,  non ci addentriamo troppo.
Detto ciò, considerando viceversa la natura del riluttante scrittore e il fatto che mi pareva ci tenessi particolarmente, forse qualcosa avresti potuto salvare (tipo la parte su non essere ossessionato da inventato e reale, sembrava interessante, anche se non è che l'avessi capita molto bene).
Per il resto mi pare che hai accolto le mie osservazioni quindi non ho nulla da aggiungere. Sul capitolo due invece ho notato che hai lasciato pressoché com’era e per quel che mi riguarda rimangono validi gli appunti che feci la prima volta.
Infine riguardo la faccenda del sotto sotto titolo pensavo che il termine riluttanti già contiene implicita l'evidenza che non si tratta di saggi.


Ecco. Ho finito di trascrivere alcune delle constatazioni meteo di Paola, e ripenso a ciò che si aspettava da questo libro: che riprendessi il tema del precedente ma in chiave più sociologica. Ma io non sono in grado di farlo, o forse non lo voglio fare il sociologo, forse voglio solo raccontare storie, infatti non so che cosa potrei aggiungere ora, so che oggi che è il giorno prima di Pasqua del 2016, e sento gli agnelli urlare, e mi accorgo che questo mondo etico, terapeutico e confessionale si prepara a uccidere migliaia di cuccioli di mammifero, per abboffarsi, e dire al commensale: ma che tenero quest’agnello, davvero gustoso, davvero (io sono quindici anni che non mangio agnelli né altri mammiferi, per questa mia fissa di risparmiare almeno gli animali più evoluti), e poi denunciano Cracco, il cuoco superstar, perché ha cucinato un piccione, perché dicono che il piccione è razza protetta, ma protetto perché?, almeno quello sarà stato un piccione adulto, che ha vissuto la sua piccionesca vita quanto basta, e l’ha vissuta da uccello, non certo da mammifero, se proprio vogliamo fare questa graduatoria nazista dell’animale più intelligente o più evoluto e dunque dell’animale che più si merita di vivere o di morire, e se fossimo nazisti ecco che l’agnello avrebbe più diritto di vivere di un piccione, ma siccome diciamo di non essere nazisti, almeno mettiamoli sullo stesso piano, agnelli e piccioni, e denunciamo dunque tutti questi criminali ovinofagi che tra oggi e domani stermineranno migliaia di giovani pecore per il gusto di fagogitare anzi strafo carsi la carne tenera di un vivente. 

Lo so, ora rischio di sembrare un esaltato, ma volevo dire che tra poco il libro va in stampa, e ancora non ho deciso cosa fare dei suggerimenti di questa fisica riluttante che fa la meterologa come fosse una rabdomante non per dono o tradizione di famiglia ma per calcoli e congetture. Potrei aggiungere qualcosa ai Nichilisti devoti, ma cosa? Giusto dire, visto che dopo Parigi gli attentati proseguono e proseguiranno, che la lotta è impari, che non c’è lotta possibile con chi mette in gioco la propria morte, che noi occidentali onnipotenti e superiori aneliamo l’eternità, avendolo a disposizione berremmo ogni giorno l’elisir dell’immortalità, e loro, invece, proprio per questo ci uccidono uccidendosi, ma ciò va contro ogni istinto biologico di conservazione e sopravvivenza, e come potremo mai difenderci da chi vuole morire e farci morire? Solo questo avrei potuto aggiungere. E non volevo eliminare Il fuoco amico sui CIM, perché non mi dispiace mostrarmi infastidito da un collega rosicone. E non volevo levare il tandem Basaglia Bergoglio perché anche se m’illudo, ho la speranza che quel comunista di Bergoglio possa far implodere il suo manicomio, così come quel comunista di Basaglia deflagrò la sua chiesa. Invece sin da subito ho deciso di togliere l’Hikikomori sul balcone. E basta a raccontarmi come un ipocondriaco. Che perdo sempre di più di credibilità.

Insomma, a proposito di ripetizioni (dice Paola che sono ridondante), se è vero che “la propria identità personale è un racconto” (Carrère), e se è doveroso “fare ciò che si dice e dire ciò che si fa” per inchiodarsi (Rotelli), e se è necessario “essere sia inventori che narratori” (Basaglia), ho la sensazione che con questi tre libri, e col racconto che ho fatto di una parte di me, di una delle molte identità che mi appartengono (quella dello psichiatra riluttante), ai molti interlocutori che ho avuto (dalla madonna al cantante alla centaura alla meterologa all’avvocato a mia moglie ai cinquemila lettori), mi sono in qualche modo confessato, mi sono ricostruito come psichiatra, mi sono in parte liberato, mi sono forse anche un po’ curato da quella malinconia o apatia che piglia ai riluttanti.