di Gian Piero Fiorillo
Cosa vuol dire fare lo psichiatra oggi, in 
un servizio ospedaliero romano che assomiglia a moltissimi altri diffusi
 su tutto il territorio nazionale, per chi non riesce e non vuole 
rassegnarsi al dominio della psichiatria biologica, securitaria e 
repressiva? Per chi non accetta che i pazienti vengano regolarmente 
legati ai letti di contenzione, domati da pesanti chemioterapie, 
scaricati in cosiddette cliniche e comunità le cui prassi terapeutiche e
 relazionali ricordano in maniera inquietante quei manicomi che, aboliti
 per legge, continuano tuttavia ad esistere sotto forme e con nomi 
diversi?
Cosa vuol dire farlo, lo psichiatra, e dichiararsi tale 
con ostinazione, pur nella lucida consapevolezza di tutte le 
contraddizioni che questa professione, situata sul rischioso confine fra
 medicina e controllo sociale, comporta? Cosa vuol dire scrivere in 
cartella diagnosi sulla cui consistenza concettuale si nutrono parecchi 
dubbi, prescrivere farmaci del cui funzionamento si conosce pochissimo e
 se ne può avere un’idea solo a posteriori, in base agli effetti? O 
cercare un rapporto umano, un colloquio, con un paziente che si è 
costretti a lasciare legato per evitare l’esplosione delle dinamiche del
 reparto, delle quali il poveretto non ha alcuna responsabilità?
Prova a dirlo, utilizzando prevalentemente il registro narrativo, Piero Cipriano nella 
Fabbrica della cura mentale, diario di uno psichiatra riluttante
 (Elèuthera 2013), e riesce nell’intento di dare un quadro vivo non solo
 della sua professione, ma del mondo che ruota intorno alla “malattia 
mentale”, come oggi viene etichettata qualsiasi espressione di impaccio 
esistenziale. Fin dal titolo questo libro necessario si colloca nella 
tradizione detta 
basagliana, ma senza accontentarsi di ripetere un formulario, piuttosto sottoponendola a un serrato confronto con la realtà.
L’anno
 che sta per concludersi potrebbe rivelarsi un anno importante per la 
coscienza critica della psichiatria italiana: le numerose iniziative 
legate al dibattito sulla chiusura degli ospedali psichiatrici 
giudiziari, alcune pubblicazioni importanti (ad esempio 
Indagine su un’epidemia – lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci,
 di Robert Whitaker – Fioriti editore) e soprattutto la rinascita di 
forme autonome di protagonismo dei pazienti, riaprono una prospettiva 
che sembrava definitivamente tramontata.