la società dei devianti

venerdì 20 aprile 2018

storia della follia e dell'antifollia in quattro ore e un quarto


A proposito di questo libro che esce a maggio, cosa dicono le prime persone a cui l'ho fatto leggere quando era ancora manoscritto in costruzione?


Paola (la mia editor incognita) dice: lo stato è assai migliore di quel che mi aspettassi dalle (tue) premesse, anche dal punto di vista della forma (mi hai detto di astenermi e mi adeguo, giusto come curiosità statistica conterei il numero di volte che hai scritto iatrogeno).
Comunque si legge tutto 
(o quasi) con piacere e rapidamente.
Capitolo 1. La tua capacità di compendiare con brio misto a sarcasmo, inutile a dirsi, è tra le migliori qualità. L’ho trovato molto interessante e con un bel ritmo ma quindici pagine appaiono pochine e anche se in seguito metti le mani avanti su possibili sciatterie, manca qualche approfondimento. Magari nell’economia complessiva del libro può anche andare, ma avrebbe meritato più spazio. Attenzione, però, che ci sono alcuni errori. Ripassaci sopra (en passant: la tua interpretazione dei postulati quantistici è a dir poco azzardata, ma per fortuna se ne accorgeranno in pochi).
Capitolo 2. Bello, quasi perfetto (tolta qualche ripetizione e qualche effetto di saldatura). Financo lirico. Tra le varie cose, un’ode all’impegno civile che m’ha a tratti emozionato (io sono emotiva, però). Anche qui avrei voluto che durasse di più e alcuni passaggi mi sono parsi frettolosi lasciando il sapore del non detto. Parrà strano, ma suona anche nuovo.
Capitolo 3. Ho perplessità sulla deriva autoreferenziale. Io la penso così, se lo chiedi a me. Altri ti diranno che è fichissimo così. Metto in blocco l’istinto di protezione e dico: decidi tu.
Premesso ciò: il patto carreriano col lettore è una ripetizione troppo smaccata (ma poi c’entra?), seppur il pezzo dell’ostia sia molto simpatico, io eviterei di ripetermi.  La parte autobiografica potresti pure sfrondarla leggermente. L’excursus sui farmaci è sempre molto interessante (talmente sicuro di sé che ormai vive di vita propria). Tuttavia tagliare (se hai necessità di bilanciare le varie sezioni) non sarebbe un delitto, considerando che c’hai scritto già un libro sopra. Tutta la parte sul libro di Rotelli è ok (e tranquillo se volevi esprimerti sull’impellenza di farsi narratori, il messaggio è passato!).
Buono l’esempio di come si crea depressione (avresti potuto persino dilungarti).
L’incipit con polemica con gli psicanalisti, non mi ha convinto fino in fondo, ma forse era solo ora di dormire.
Capitolo 4. Non so se sia giusto scrivere il manicomio digitale o no (tanto lo scriverai) ma è impossibile prescinderne (in tutte le sue declinazioni). Se la nostra conversazione (in senso largo) non si fosse interrotta di nuovo, ti avrei detto che era proprio questo l’elemento da aggredire, dopo il contemporaneo dei farmaci, nessun narratore che si rispetti può esimersi dal postcontemporaneo. Ok, evidentemente non ce n’era bisogno. Il panottico digitale, quello che hai scritto mi pare ok, incluso i piccoli episodi autobiografici, per quanto aggiungere uno sguardo professionale più approfondito oltre che filosofico, non avrebbe guastato. Mi aspetto che l’attualità si rimpolpi con i pezzi esterni.
Dovresti separare la parte successiva (quella che riparte da Sammelweis per capirsi), troppo discontinuità, non credo abbia senso tenerli nello stesso capitolo.
Epilogo. Non credo che tu voglia davvero mettere questa cosa qui, così personalistica e autoreferenziale, se così è non posso fare commenti utili (vedi sopra). Salverei solo da dove parli di parresia fino alla fine, che mi sembra più interessante.
Fossi in te aspetterei di avere una bozza del libro in toto prima di decidere se e cosa tagliare, ammesso che sia compatibile con i tempi editoriali. Comunque le premesse sono buone, anche di più.

Nicoletta (la poetessa madonna de La società dei devianti) scrive: è un gran bel libro e tu sai scrivere veramente bene! è una cavalcata avvincente, appassionata, magnetica e ben impostata. Per fortuna, poco distacco e molti corpo a corpo. Ed è vero: hai talento nel raccontare anche il pensiero degli altri, mirando subito al cuore della faccenda o alle sue contraddizioni e, vivaddio, senza annoiare. Utile l’inciso su Slavich e mi piace molto la scelta di narrare le vicende di quegli anni attraverso la tua formazione di psichiatra: è mirata, non narcisistica ed è più efficace di qualsiasi ipocrita distanza. Il finale del paragrafo sui disperati portatori di speranza mi ha emozionata, hai fatto bene a riprendere i temi de Il manicomio chimico nel terzo capitolo, altrimenti sarebbe stata una narrazione monca. Mi ha impressionato il tuo coraggio nel discorso dellagape. Bellissimo. Per due volte scrivi che avresti dato la parola ad altre persone nella seconda parte. Io però non lho visto. Cosa intendevi? Ci sono tre cose che mi convincono meno: 1. la posizione del paragrafo "Basaglia come Semmelweis". E’ utilissimo, è ben raccontato, però mi sembra fuori posto. Trovandolo dove lo metti tu, sembra di rallentare, quasi una ripetizione (che invece non è), e di tornare indietro. Lo anticiperei al capitolo precedente. 2. L’introduzione al capitolo tre: non so, la toglierei, mi pare non aggiunga niente al tuo discorso generale e che rallenti il fulmine. 3. una sciocchezzale prime tre righe del paragrafo su Carrère sembrano prese pari pari (proprio pari) da La società dei devianti. Se proprio vuoi ribardirle, proverei a cambiare formula. E niente, per il resto - ora sono io che mi ripeto - leggerti è un gran piacere. Quasi ipnotico. Hai senso del ritmo, dellironia, dellaffondo e a volte, presi dal tuo racconto, sembra perfino di ballare.

Nicoletta aggiungeieri ho letto la seconda parte. Trovo importante che tu abbia dato spazio a diverse altre voci che, a loro modo, resistono combattono e si confrontano con le angustie della psichiatria odierna. Mi piace anche la scelta che hai operato sulle persone che avevano qualcosa da dire. Questo conferma ciò che dice Rotelli, che sebbene ancora pochi non siete soli. Il taglio finale collettivo dà allora più speranza e quindi rinforza e potenzia quello che già scrivi da anni. Coagulare intorno al tuo testo altre tracce ed esperienze che gli fanno eco è un modo anche per amplificarne la portata. Mi piace la tua introduzione alla seconda parte del libro, però il primo paragrafo mi sembra totalmente mutuato dalla prefazione de La società dei devianti. E’ uno smaccato de ja vu che un po’ disturba. Tieni presente che tra le persone che prenderanno questo nuovo libro eleuthera ci saranno moltissimi e appassionati lettori della trilogia e non tutti saranno smemorati. Entusiasmante è il pezzo di Gianni Cappelletti. Il suo percorso è lucido e coerente e hai fatto bene a metterlo per primo. Il testo di Lara Bellini è prezioso e originale. Illuminante. Vien proprio voglia di cercarla in altri libri, se ne ha scritti. Efficaci Lorenza Ronzano e Donato Morena (a parte i suoi due ultimi paragrafi un po meno incisivi). Anche quella dellinfermiera Cristina Comunale è una dolorosa presa diretta sul reparto. Mi ha sorpresa la filosofa impaziente Paola Ferrari. Vorrei trovarla su fb per seguire anche i suoi post. Davvero bravissimo Francesco Andreani. Chirurgico e sintetico. Chissà che continui a scrivere. Lo sa fare. Le interviste sono tutte godibilissime, peccato che finiscano presto. Silvano Agosti è una luce! Ottima lasciugatura delle domande a Virzì. Spero sempre che riusciate a inserire anche Gifuni e Caparezza, perché se ne leggerebbero volentieri delle altre. Sono felice che tu abbia scritto un libro così e secondo me farà il botto.

Lara (esperta di jazz economia e salute mentale pur senza patente) scrive: le tue introduzioni, belle. Mi piace la casualità del lacaniano e me. Però spero non ci rimanga male a leggersi così. Gli hai parlato di persona dei motivi per cui non lo pubblichi? (Con l’età sono ancora più empatica del mio solito)L’unica cosa che mi preoccupa è che, viste le informazioni su di lui che condividi col lettore, non so se si riesca a mantenere l’anonimato. Per quel che mi riguarda, mi piace dove mi hai collocato, fra gli inventori, e come hai descritto il nostro incontro. La vita me la sono dovuta proprio inventare. Non sono mai stata paziente psichiatrica - per mia fortuna voglio aggiungere, visto lo stato attuale della psichiatria. Lo scritto che ti ho spedito è in realtà come vivo la vita, è la mia cura quotidiana. Vivo ragione e sragione e sono entrambe parti importanti di me. Ora sto leggendo gli altri scritti: bellissima la parte di Gianni Cappelletti, lo andrò a trovare di sicuro, anche perché a Londra ho un orto urbano. Quando mi hai chiesto di scrivere il pezzo mi hai fatto un regalo bellissimo, dare voce al lavoro di una vita, un lavoro che ho fatto su di me, e insieme agli altri/e. Ho dovuto inventarmi la vita ma senza una comunità amorevole è tanto difficile, no? Ora continuo a leggere gli altri scritti. Grazie di tutto Piero

Paola (ancora la mia editor clandestina) mi riscrive, dopo aver letto la seconda stesura: hai avuto una bella idea e anche ben realizzata, puoi ritenerti giustamente soddisfattoDetto ciò: non ho letto tutti i singoli contributi di inventori e impazienti, eccetto Ivan Fëdorovič e altri estratti qua e là. Ma tu certamente avrai selezionato e valutato per cui saranno tutti di livello. Spero. Comunque, a scorrere paiono ben assortiti. Le interviste invece sì, le ho lette, seppur in momenti diversi. Casomai ti interessasse ho la mia personale classifica: Silvano Agosti, Lagioia, Capovilla e in ultimo Virzì (pregiudizio forse). Comunque, ottimo lavoro. La tua breve storia della follia l’avevo passata al lanternino al primo giro (sebbene la maggior parte delle note a margine siano rimaste a me). Dando un’occhiata qua e là ho notato che hai aggirato un paio di mie considerazioni con delle avvertenze ad hoc per il lettore. Vada lo stratagemma per iatrogeno, ma con l’autoreferenzialità l’effetto è di alimentarla. Pensaci. Sempre unicamente a scopo di cronaca, ribadisco che in alcuni passaggi del terzo capitolo vedo rischio ripetitività. L’introduzione alla seconda parte “chi cura chi” ok che è un cappello, un raccordo e non ci si può attendere chissà quali vette, ma così non mi convince molto. E’ una questione di forma, s’intende, però l’ho trovato piuttosto svogliato e troppo elencatorio. Avrei scelto un taglio diverso, più letterario per trasmettere l’urgenza di questa operazioneCredo che tu possa fare di meglio con poco sforzo.
Finale Bolano/Basaglia: me lo mandasti tempo fa e sul momento m’era apparso un po’ naif (il caffè d’oltre tomba mi fa un po’ Lavazza, sarà colpa del mio lato nazional popolare) e vagamente pretenzioso.
Ma (ri)letto in coda alle interviste, l’impressione è stata assai diversa. Trovo che ci sta. Va in crescendo (lo preferisco dalla seconda paginetta in poi). Molto bello il dialogo puntellato con gli estratti da Bolano. Il lirismo del pezzo è in parte ridimensionato dalla solita esigenza di sottitolare, mettere didascalie. Se fai lo
spregiudicato, fallo fino in fondo. Abbi fiducia in te e nel lettore. E se poi non capisce so cazzi suoi.
Infine, un dettaglissimo: lascia solo L’intervista impossibile (ovvero Basaglia incontra
Bolaño, io di nascosto prendo nota). Fa più fico.

Donato (giovane psichiatra cane pure lui in chiesa) scrive: ho appena finito di leggere il libro, che te li dico a fare i complimenti! Anche se, a proposito di psichiatria digitale, ho paura che i tuoi libri stiano diventando oramai una sorta di tutorial per futuri operatori basagliani. Per fortuna la signorina anarchia ti (spero ci) salverà. Più seriamente, le riflessioni che fai mi sono servite davvero a pensare meglio, a ricapitolarmi l’anamnesi e a mettere ordine tra quelle immagini e quei pezzi sparsi di parole che si sono ammucchiati in questi anni di vita e di formazione. Ecco, ti ho fatto i complimenti. Però sono soprattutto ringraziamenti, che non vorrebbero essere banali ma, appunto, seri perchè se a volte mi viene il sospetto di delirare, posso pensare così che siamo almeno in due. E spero di più, così da diluirlo questo pensiero delirante come vorrebbero farci credere, e poter trovare una porta d’uscita a quest’era prestazionale, e direi disperata (con annessa desensorializzazione).
Va bene, non ti tedio, e in maniera stitica alla Han ti riporto alcune cose minori sul testo:
Trovo un po’ complicato il passaggio del paragrafo in cui parla Manlia Cerri, non capisco bene dove vuole arrivare;
i bambini e gli adolescenti sono diventati i migliori clienti della farmacia psichiatrica, direi anche gli anziani, ormai la totalità, dementi e non (ma forse sarebbe un di più visto che poi non ne parli);
parli del passaggio al DSM-5, mi vengono in mente quelle rare lezioni misere, più che altro dei riscaldamenti in vista dei convegni, in cui i professori universitari si esercitavano a raccontarci gli insulsi cambiamenti nosografici come se fossero una normale, naturale evoluzione della psicopatologia. E noi ce li sciroppavamo come l’aggiornamento di un software. Ma, se anche ci fosse venuto in mente di chiederne spiegazione, tacendo ci siamo risparmiati un imbarazzo reciproco. Ipse dixit.
A proposito dell’idios kosmos e degli idioti, anche Basaglia diceva di essere stato l’idiota della famiglia, (l’idiot de la famille, riprendendo Sartre nella sua ricerca sulla vita di Flaubert) almeno così dice Giannichedda nella sua introduzione all'Utopia della Realtà.

Sabrina (astrobibliotecaria): ho letto la tua storia dell’anti-follia. Mi piace come racconti le cose. Forse ho capito cos’è che stai cercando. Potrei farmi i fatti miei, hai ragione se lo pensi. Non mi offendo se me lo dici. Mi è piaciuto tanto, comunque. Utile e dilettevole, davvero. E’ proprio così. Ho appreso e mi sono divertita, divertita in modo articolato (non solo sorrisi ma emozioni svariate). Stai cercando significato, io questo avverto, ecco, adesso lo so dire. Dal primo libro tuo che ho letto. Ecco perché mi venne in mente quel libro di Teller, Niente. Mi piace questo cercare significato, lo trovo palpitante. Tutum palpita, si sente.
Sì però un po’ mi vengono anche i nervi, perché hai scelto di fare lo psichiatra? Non mi convinci quando parli di questo. Che mestiere ti credevi che fosse? Quale immagine ti ha chiamato?
Le rispondo: Finché non ci sei dentro non sai ciò che ti aspetta.
Questo l’ho capito. Ma un’aspettativa tua, ve bene smentita poi dall’esperienza, un’aspettativa tua, come può avercela il bambino che vuole fare l’astronauta o il postino, dovevi avercela anche tu.
Le rispondo: Forse i tarocchi potrebbero aiutare, sono stato soggiogato dalla carta del matto, dopo la quale è uscita quella dell’alchimista e poi dello scrittore.
E lei: Risposta estetica.
E lo so, a te non la si fa.

Ecco. Prima del 13 maggio esce questo libro.