Premesso che questo è un pezzo
che andrebbe letto fino in fondo, quindi non adatto al navigante medio di blog o
di social, abituato a sbocconcellare i post e subito sputarli. Ciò detto La società dei devianti è un libro
scritto in quattro e quattr’otto, sette mesi scarsi, per finire di dire ciò che
ne Il manicomio chimico andava detto: l’intuizione che il potere ci vuole sempre
più anormali, devianti, per poterci poi corregge, ecco, quest’intuizione mi
pare buona, ma hanno ragione Manano e Paola, l’avvocato che mi para dai
causidici e la metereologa che mi avvisa del maltempo, entrambi sono stati i
miei editor aggiunti, che hanno letto il manoscritto quasi definitivo: è rimasta
solo un’intuizione.
Mi dice Manano (ecco che mi
crogiolo un altro po’ nell’auto fiction, l’auto fiction, sostiene Antonio
Pascale in un articolo recente, è quella cosa che vuole finalmente fare a meno
del narratore ottocentesco onnisciente, colui che sa tutto e non ti mette a
parte di ciò che succede nel retrobottega dello scrittore, auto fiction è
raccontare al lettore anche come lavora il manovratore mentre scrive, i suoi
dubbi, la costruzione del libro, eccetera) che dopo Il manicomio chimico le aspettative sono più alte, lui per primo ce
le aveva più alte, e con questo terzo libro non è che le abbia propriamente
mantenute. Oltre a questo, da bravo avvocato mi suggerisce di addolcire il
pezzo sul Fuoco amico sui CIM. Lo
accontento. Addolcito il pezzo. Ora il pezzo è talmente amichevole, mi conforta
Manano, che quel tuo collega invece di querelarti ti scriverà per ringraziarti
(il pezzo dopo molti ripensamenti in realtà lo elimino proprio, e Manano,
serafico: un rosicone di meno). Invece Paola ho come l’impressione che anche
quando legge i manoscritti in corso d’opera riesce a essere metereologa: sa
prevedere come andrà a finire, ciò che funziona e ciò che non va, i capitoli
dove fa bel tempo e quelli dove piove, perfino quelli dove parte col sole e
t’illude ma poi d’un tratto il cielo si chiude e diluvia.
Dice: il contesto da dove ti scrivo (il suo ufficio in cima a una specie di osservatorio astronomico) non mi aiuta a trovare ispirazione, per quanto tenti (inutilmente) di astrarmi, immaginandoci a chiacchierare in qualche bettola di Centocelle, accompagnati da vino di dubbia qualità. Per cui rinuncio a dare al discorso una parvenza di dignità letteraria, una sua coerenza, qualcosa di vagamente confrontabile coi carteggi testimoniati dal tuo libro, per capirci, e sacrifico (come fai tu) il mio piacere di scrivere al raggiungimento dell’obiettivo.
Dice: faccio
fatica a dare un giudizio sul tuo libro, prevale in questo, più che negli
altri, la natura di compendio, collezione eterogenea di pezzi. E a questo
proposito il sottotitolo altri
scritti di psichiatria… mi pare azzeccato (più del titolo stesso, un
po’ fuorviante; e per inciso, I dolori
del vero psichiatra non sarebbe stato male).
Continua: potresti
ribattere che questa è un’ovvietà, che è nella natura stessa
del riluttante scrittore, un suo tratto distintivo: però ho come
l’impressione che ne i devianti sia
più preponderante questo aspetto, meno chiaro l’obiettivo della dissertazione.
Ho cominciato la lettura scevra da preconcetti sul contenuto (che in effetti
non mi avevi anticipato). E per tutta la prima parte mi era parso che volessi riprendere
il tema del precedente ma in chiave più sociologica (sto semplificando
molto, ma è per capirsi). La felicità, l’OMS, le performance, i devianti eccetera.
Anche se un po’ troppo appendice del Manicomio,
personalmente la cosa mi piaceva, e io avrei proseguito su questo
registro (ma non a caso il riluttante sei tu). Anche perché, per dirla
tutta, il racconto, la caratterizzazione dei personaggi, i dialoghi (più o
meno reali) coi pazienti sono (tra) i tuoi punti forti. Ma l’impressione è
che a un certo punto il discorso s’interrompa d’embleè, per virare (deviare!) a
un compendio di esperienze, riflessioni, situazioni di vario genere vissute
nell’ultimo anno e, talvolta, messe dentro un po’ a ogni costo, anche quello di
replicare un po’ troppo concetti già ampiamente espressi. Non dico sia per
forza un difetto, e se anche lo fosse sembra ben camuffato dalla scelta
del modello Carrère con alta dose di Cipriano. L’appunto che potrei fare è
che non sempre tutto ciò mi è parso voluto.
Mi
soffermerò allora poco su ciò che mi è piaciuto, perché in questa sede è
inutile. Anche se non sempre riesci a mantenere costante il livello, di punti forti
nella tua scrittura ne hai: la capacità di mescolare due registri distanti,
passando con estrema rapidità dall’uno all’altro: un primo letterario,
raffinato, ricercato e il secondo prosaico, colloquiale, ma altrettanto
ricercato. Ti lanci (qualche volta temerariamente) a giocare con le regole
stesse della lingua scritta (esercizio ovviamente legittimo per uno scrittore ma
anche ambizioso) muovendoti un po’ come un equilibrista. Ma questo implica
qualche rischio di cadere.
Bello e
tutto necessario il Carteggio con la
madonna, Se 87 ore vi sembrano poche,
Il mio amico Birdman, e molto bello
il pezzo sulla Depressione, tra i più
significativi. Un altro tuo punto forte (e mi dispiace per la tua
psicanalista di riferimento) non lo definirei una mera capacità di divulgare, di
trasferire il tecnico alla massa, ma qualcosa di diverso, secondo me, di più
letterario, più intenso, ma ora non mi soffermo.
Non mi è piaciuto
I nichilisti devoti. Ovvio che
potrebbe essere il tema più originale del libro e forse, data l’attualità,
anche quella più attraente ma, come già nel tuo articolo su repubblica, non mi
è chiaro il senso ultimo della tua dissertazione (ma forse è un mio limite). E
non mi sembra neppure particolarmente ben scritto (rispetto agli altri,
s’intende). Ma proverò a rileggerlo. Perplessità per Il fuoco amico sui CIM (perché viene troppo fuori la tua
natura un po’ rosicona): avrebbe guadagnato portando la polemica su un piano
più libresco e meno personalistico. Il tandem La chiesa è un manicomio e Basaglia
e l’impossibile: mah, non mi è piaciuto. Il primo mi è parso un po’ naif,
il secondo, sinceramente, inutile, ripetitivo, rispetto a concetti già espressi
ampiamente nei precedenti libri. Tu Hikikomori
sul balcone: non so... buono per la posizione su vaccini (che almeno
non ti scambiano per un complottista), ma forse meno autobiografia avrebbe
marcato una qualche differenza.
E veniamo
alle ripetizioni, le definirei di tre tipi: quelle casuali (delle quali non ti
accorgi), quelle che usi come tratto distintivo (o forse per marcare una tua
vicinanza con gli ossessivi, o non so). Infine quelle conseguenza del
montaggio, difetti di postproduzione insomma. Li chiamerei effetti di
bordo, e in generale riguardano gli incipit dei vari capitoli. Sono meno
rispetto agli altri libri, ma proprio necessari?
Esempi - per non tediare alcuni li ometto, ma erano fichi, tipo:
Capitolo 5 "Sono uno psichiatra, ciononostante (...) fobico del
del volo" ( be’ che sei uno psichiatra s’era capito) se vuoi mettere
in luce una contraddizione (c’e`?) tra le due cose lo esprimerei diversamente
"Basaglia dice, Franco Basaglia ha detto" ... ecco questo lo
trovo un po’ stucchevole, Lo so che e` una scelta, lo so che ne vuoi
enfatizzare la figura, ma io non sono sicura che renderlo un vate, oracolo e
soprattutto in modo cosi ossessivo sia il modo migliore (non sarà
controproducente?)
Discorso a parte i primi due capitoli del libro: senza dubbio rivedrei il
primo capitolo, anzi darei priorità assoluta! Sia nella struttura che nello
stile (soprattutto). L'ho trovato un po’ farraginoso alcuni periodi difficili da
interpretare, li renderei più fluidi: è la porta di ingresso al tuo al libro,
anzi alla trilogia stessa, è importante. Funziona bene quando parli del libro
di Basaglia e consorte ma la parte su Carrère andrebbe scritta meglio. Non dico
di toglierla ma proverei a renderla leggermente più letteraria (così ha la
forma dei whatsapp che mi mandavi per spiegarmelo).
Una nota di colore ....sulle cose autobiografiche un po’ mi astengo, ma sta
cosa che corri a torso nudo ha un significato recondito? Se lo fai per
caratterizzare il personaggio (un po’ alla Montalbano per capirsi) a sottolineare
un vezzo che si ripete può pure andare ... se no toglilo che già l'avevi detto
nell'altro e a me non me pare proprio così fondamentale (mi sfugge qualcosa?).
Mi fermo,
che potrei continuare chissà per quanto. Giusto una precisazione. Quanto ti ho
scritto è il punto di vista della lettrice forte, marginalmente dell’amica,
pochissimo della sorella tormentata di paziente psichiatrico (ex). Mettere
insieme tutti questi ruoli (che invece nel corso della lettura si sono
continuamente alternati) gestendo la continua dicotomia tra la mia componente
emotiva e quella iper razionale, sarebbe stato un obiettivo davvero
troppo ambizioso.
Ecco, questa
è stata la prima tranche di osservazioni metereologiche. Correggo
diligentemente. Invio i capitoli corretti, e la fisica meterologa prestata alla
mia scrittura con zelo risponde.
Il primo capitolo mi pare molto meglio, ora, caro Cipriano.
Fila di più. Il pezzo sui riluttanti (che in effetti era tra i più
discutibili formalmente) ha guadagnato molto dalla ristrutturazione, molto più
scorrevole e godibile. Buona idea rimuovere tutta la storia dei marchettari che
suonava pure un po’ ingenua (come considerazione generale, nel contesto del
libro, eviterei di mettere la mani avanti, giustificarti o simili).
Magari l'espediente "va bene, va bene Cipriano etc ..." non mi
pare tra i migliori possibili (so’ rompicoglioni lo so) ma se proprio non trovi
altro...
Pure il pezzo dove liberi la tua voglia di scrivere mi pare efficace.
Per quanto quel "Allora si (....) allora si...." che m'e`
suonato male dalla prima volta proprio non mi va giu. Ma credo dovrò farmene una
ragione.
Riguardo Carrère forse avrei limato un altro po’ ....
(come piccola digressione, a giudicare dall'uso spregiudicato della
punteggiatura, questo capitolo mi pare assai più bolaniano).
Capitolo 17: premesso che giusto al Riluttante verrebbe mai l'idea di
mettere insieme Micaela Ramazzotti (che per inciso m'e` sempre parsa
inquieta) e "l'eterogenesi dei fini" in uno stesso scritto, anche qui
la ristrutturazione ha funzionato. Il cappello sugli OPG ci sta molto bene e mi
pare renda la cosa meno avulsa dal contesto. Se non sbaglio la parte dove Virzì
ti provoca sulle opinioni riguardo il tuo libro non c'era prima: non e` male,
anzi è carina.
Non è un giudizio ma solo una constatazione: da lettore (o forse ancor più
da lettrice), attraversare il guado emotivo tra La pazza gioia (coinvolgente parecchio, ci sai fare con le emozioni
quando ti ci metti, eh!) e il concorso nelle REMS del Lazio non è stato facile
da attraversare, il salto di registro (voluto, credo) è notevole, non ci lasci
neanche il tempo di girare pagina per riprendere fiato....
(Altra digressione: dalla dose micidiale di "chimico/i" rifilata in
poche righe, deduco che la mia osservazione a riguardo non è stata gradita. E
pazienza, dai, probabilmente hai ragione tu, è più immediato, una prerogativa
che a me manca).
Rispetto alla mail precedente mi sono accorta che, erroneamente, avevo
incluso anche La nostalgia del manicomio
tra i capitoli "deboli". In realtà non è così, c'e` tutta la parte
sui TSO che è importante. E’ la ridondanza con alcuni passaggi del precedente che
non mi convince.
Ma, detto questo, tu vorresti rovinare tutto inserendo un pezzo su di me o
su queste cose che ti ho scritto? Certo che no, non ci sta bene per definizione
e in qualità di "editor per un giorno" (per affetto, decisamente
e pure un po’ per piacere), casso
questa ipotesi senza appello. Che poi cosa ci sarebbe da dire? mi sfugge.
Ho visto poi che hai aggiunto alla lista dei "riluttanti di
mezzo" anche un fisico. Immagino sia io. A parte non mi pare ci stia
benissimo (in effetti nessuna delle azioni si associano), certo in generale, mi
ritengo una riluttante. Lo sono (e sono stata) per molti versi e in diversi
occasioni della vita, pero’ qui no: mi sembra davvero un po’ poco qualche
osservazione, più o meno valida, sul tuo manoscritto, per potermi
fregiare di questo titolo.
Correggo
ancora. Lei risponde di nuovo.
Sulle prime pensavo di mandarti solo qualche scarna osservazione (di tipo
puramente formale) sul primo capitolo o cose sul genere di "piuttosto
che" o forse niente.
Poi ho riacceso il tablet e mi sono messa lì a leggere le variazioni in giallo a Società dei devianti e nosologia etc... e complice forse uno stato d'animo un po’ più inquieto l'approccio è cambiato.
Poi ho riacceso il tablet e mi sono messa lì a leggere le variazioni in giallo a Società dei devianti e nosologia etc... e complice forse uno stato d'animo un po’ più inquieto l'approccio è cambiato.
Ero anche (e ancora lo sono) un po’ scettica sull'idea che abbia senso
scrivere queste mie ulteriori osservazioni.
Ma va be’ alla fine mi tengo la mia inquietudine e eccomi qui. Sulla
nosologia: scrivere di un capitolo che non sai se lo terrai potrebbe essere un
po’ un capriccio da scrittore che comunque rientra nel personaggio, ma se
concedi (davvero) questa confidenza al lettore almeno spiegagli il perché. Se
lo lasci scritto, il lettore ha diritto a sapere perché alla fine sta leggendo
qualcosa di cui tu stesso non eri convinto e hai sentito la necessità di
farglielo sapere E siccome anch'io non lo so non posso darti un parere (casomai
lo volessi).
Società dei devianti: nel giro di poche righe scrivi che non sapevi che titolo dare, che il libro era prematuro, che non doveva esserci ma c'è, che il titolo è il primo che ti è venuto in mente e che il libro è buttato lì ....e insomma mi pare un po’ troppo. Se alla fine il senso è che prima hai scritto uno sul manicomio fisico, poi uno su quello chimico e mo’ uno su quello distribuito (sai tipo gli alberghi distribuiti...) o cosa sia e qualsiasi sia la ragione, insomma la rivendicherei, farei girare la cosa intorno a questo concetto! E quello che scrivi va bene, lo spiega, ma togliere almeno qualcuna (mica tutte eh) delle suddette affermazioni forse lo farebbe emergere un po’ meglio.
Sono abbastanza convinta di questo punto, ma poi chissà forse ti snaturo,
forse ti do suggerimenti da iper razionale con scarso senso artistico. Valuta
tu.
Sul resto pensavo di scriverti questo: nel primo capitolo mi chiedevo come
mai avessi tolto completamente la parte sul piacere drogastico di scrivere. Non
che la cosa mi dispiaccia, cosi e` molto più agile (quella parte la trovavo un
po’ forzata) e personalmente se fossi io a scrivere svelerei il meno possibile
della mia intimità di scrittore (quello che farei io dovrebbe essere irrilevante
ma non lo è e un po’ come in meccanica quantistica non è possibile osservare un
sistema senza perturbarlo...). E si potrebbe fare una disamina sull'opportunità
di scrivere dell'opera nell'opera ma vabbe’, non ci addentriamo troppo.
Detto ciò, considerando viceversa la natura del riluttante scrittore e il
fatto che mi pareva ci tenessi particolarmente, forse qualcosa avresti potuto
salvare (tipo la parte su non essere ossessionato da inventato e reale,
sembrava interessante, anche se non è che l'avessi capita molto bene).
Per il resto mi pare che hai accolto le mie osservazioni quindi non ho
nulla da aggiungere. Sul capitolo due invece ho notato che hai lasciato
pressoché com’era e per quel che mi riguarda rimangono validi gli appunti
che feci la prima volta.
Infine riguardo la faccenda del sotto sotto titolo pensavo che il termine
riluttanti già contiene implicita l'evidenza che non si tratta di saggi.
Ecco. Ho finito di trascrivere
alcune delle constatazioni meteo di Paola, e ripenso a ciò che si aspettava da
questo libro: che riprendessi il tema del precedente
ma in chiave più sociologica. Ma io non sono in grado di farlo, o
forse non lo voglio fare il sociologo, forse voglio solo raccontare storie, infatti
non so che cosa potrei aggiungere ora, so che oggi che è il giorno prima di
Pasqua del 2016, e sento gli agnelli urlare, e mi accorgo che questo mondo
etico, terapeutico e confessionale si prepara a uccidere migliaia di cuccioli
di mammifero, per abboffarsi, e dire al commensale: ma che tenero quest’agnello,
davvero gustoso, davvero (io sono quindici anni che non mangio agnelli né altri
mammiferi, per questa mia fissa di risparmiare almeno gli animali più evoluti),
e poi denunciano Cracco, il cuoco superstar, perché ha cucinato un piccione,
perché dicono che il piccione è razza protetta, ma protetto perché?, almeno
quello sarà stato un piccione adulto, che ha vissuto la sua piccionesca vita
quanto basta, e l’ha vissuta da uccello, non certo da mammifero, se proprio
vogliamo fare questa graduatoria nazista dell’animale più intelligente o più
evoluto e dunque dell’animale che più si merita di vivere o di morire, e se
fossimo nazisti ecco che l’agnello avrebbe più diritto di vivere di un
piccione, ma siccome diciamo di non essere nazisti, almeno mettiamoli sullo
stesso piano, agnelli e piccioni, e denunciamo dunque tutti questi criminali
ovinofagi che tra oggi e domani stermineranno migliaia di giovani pecore per il
gusto di fagogitare anzi strafo carsi la carne tenera di un vivente.
Lo so, ora rischio di sembrare
un esaltato, ma volevo dire che tra poco il libro va in stampa, e ancora non ho
deciso cosa fare dei suggerimenti di questa fisica riluttante che fa la
meterologa come fosse una rabdomante non per dono o tradizione di famiglia ma
per calcoli e congetture. Potrei aggiungere qualcosa ai Nichilisti devoti, ma cosa? Giusto dire, visto che dopo Parigi gli
attentati proseguono e proseguiranno, che la lotta è impari, che non c’è lotta
possibile con chi mette in gioco la propria morte, che noi occidentali onnipotenti
e superiori aneliamo l’eternità, avendolo a disposizione berremmo ogni giorno
l’elisir dell’immortalità, e loro, invece, proprio per questo ci uccidono
uccidendosi, ma ciò va contro ogni istinto biologico di conservazione e
sopravvivenza, e come potremo mai difenderci da chi vuole morire e farci
morire? Solo questo avrei potuto aggiungere. E non volevo eliminare Il fuoco amico sui CIM, perché non mi
dispiace mostrarmi infastidito da un collega rosicone. E non volevo levare il
tandem Basaglia Bergoglio perché anche se m’illudo, ho la speranza che quel
comunista di Bergoglio possa far implodere il suo manicomio, così come quel
comunista di Basaglia deflagrò la sua chiesa. Invece sin da subito ho deciso di
togliere l’Hikikomori sul balcone. E
basta a raccontarmi come un ipocondriaco. Che perdo sempre di più di
credibilità.
Insomma, a proposito di
ripetizioni (dice Paola che sono ridondante), se è vero che “la propria
identità personale è un racconto” (Carrère), e se è doveroso “fare ciò che si dice
e dire ciò che si fa” per inchiodarsi (Rotelli), e se è necessario “essere sia inventori
che narratori” (Basaglia), ho la sensazione che con questi tre libri, e col
racconto che ho fatto di una parte di me, di una delle molte identità che mi
appartengono (quella dello psichiatra riluttante), ai molti interlocutori che
ho avuto (dalla madonna al cantante alla centaura alla meterologa all’avvocato a
mia moglie ai cinquemila lettori), mi sono in qualche modo confessato, mi sono
ricostruito come psichiatra, mi sono in parte liberato, mi sono forse anche un
po’ curato da quella malinconia o apatia che piglia ai riluttanti.
Oggi ho comprato il suo ultimo libro dopo averlo notato per caso in libreria.Non sapevo niente di lei, nè ho letto i libri precedenti, nè mi occupo di psichiatria. Cerco solo di vivere questa vita come posso. Ho scoperto di essere una riluttante e mi sento di volerle bene. Mi piace molto come scrive, cosa scrive. Continui il suo cammino, non è solo.
RispondiEliminaGrazie.
Francesca
francesca, leggo solo ora, quasi due anni dopo. che dire. il cammino - narrativo e non solo - prosegue. non da solo, infatti. grazie della compagnia
RispondiEliminaHo una sorella "curata" dal servizio di Diagnosi e Cura della Usl competente. La scelta è tra psicofarmaci oppure no, cioè tra l'essere lasciata a se stessa oppure ridotta in stato quasi catatonico. Che siano le vecchie patologie o la chimica il risultato è in ogni caso quello di non disporre del libero arbitrio per poter cogliere, oppure no, le opportunità che la vita offre. Mi piacerebbe avere un contatto con lei per poter discutere di una medicina che miri al recupero della persona, cioè di una medicina degna di questo nome, che abbia alla base l'amore per ciò che si fa, che è alla base di un articolo come questo. Se lo ritiene opportuno mi contatti a selva.andrea73@yahoo.it. Grazie per il tempo che eventualmente mi vorrà dedicare.
RispondiEliminaAndrea Selva