Mario Bonanno - Sololibri
Avete presente quei pamphlet di estrazione antipsichiatrica che a un
certo punto andavano di moda negli anni Settanta? Beh, scordateveli,
perché “La fabbrica della cura mentale. Diario di uno psichiatra
riluttante” (Elèuthera, 2013) è tutto fuorché un manifesto ideologico
anti-qualcosa, piuttosto un saggio “narrativo” sulla scorta del pensiero
vetero-basagliano, una specie di auto-fiction di taglio esistenziale,
satura com’è di riflessioni, di umanità ferita, di rimandi filosofici,
ma anche di humour, malinconia e un tantinello – va beh – di spirito di
denuncia e mal de vivre, che per chi deve vedersela ogni giorno
con le derive della malattia mentale può leggersi come burnout, tra i
rischi del mestiere di psichiatra.
Piero Cipriano è psichiatra dalla cima dei capelli fino alla punta
dei piedi, se mi spiego. Ciò non toglie che nella descrizione degli SPDC
(i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura che dalla Legge 180 in poi
hanno sostituito i manicomi) a tratti ci vada duro, ma senza inventare
nulla, perché un ricovero in SPDC non è minimamente paragonabile a un
soggiorno in un resort cinque stelle, non trovate? L’ottimo Cipriano (la
sua scrittura - specie nei suoi tratti più narrativi - letteralmente
"zampilla") annota senza sottacere nulla delle ombre che gravano sulle
strutture ospedaliere per pazienti psichiatrici (le uniche strutture
ospedaliere a porte chiuse) e tuttavia - l’ho scritto prima – questo è
tutt’altro che un testo rancoroso e non è nemmeno livido, e neanche
apocalittico, della serie declino e morte della psichiatria al tempo
degli SPDC: sulla scorta dirompente delle idee di Basaglia, ciò che
propone tra le righe Piero Cipriano è un ritorno alla centralità del
sofferente psichico (mica la malattia ne annulla lo statuto di essere
umano, no?), di pari passo a un approccio più “umile” alla professione
medica, soprattutto in un ambito, sotto molti aspetti aleatorio, com’è
l’ambito della medicina psichiatrica (aldilà della nosografia, davvero
qualcuno può dire di sapere con certezza in cosa “consista” la
schizofrenia? qual è il suo senso recondito?).
In altre parole, "La fabbrica della salute mentale" è un libro
meticcio di toni e di generi, che non le manda certo a dire sulla
pratica diffusa della contenzione fisica, su quella delle scorciatoie
farmacologiche, sul disincanto o sull’indifferenza di molti operatori, e
però senza malagrazia, piuttosto con sgomento, rivoluzionaria saggezza
diogeniana (il filosofo con la lanterna che "cercava l’uomo"). Un libro
di teoria e prassi etnopsichiatrica in forma di quasi-romanzo, che si
appiglia a Cioran e a De Andrè, richiama il mito di Sisifo in accezione
camusiana, Michel Onfray della destrutturazione delle tesi freudiane, si
mette e rimette in discussione, morde, fugge, accarezza, fa sorridere e
indignare, passando dall’autobiografia al corollario toccante di storie
minime in transito o precipitate per sempre nel giogo senza fondo del
"circuito" psichiatrico. Una lettura tesa, diretta, agevole, per tutti,
anche sul piano della forma tra le migliori sull’argomento che mi sia
capitato di leggere.
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