Marco Neirotti - La Stampa
“Stavolta ti
tengo legata al letto un mese”. “Qui
nessuno vuole farle male, voglio solo capire come mai l’hanno portata in
ospedale”. Due atteggiamenti si scontrano di fronte all’enigma della malattia
mentale: quello dell’arcana paura e cieca reazione e quello del pacato
comprendere. Era così prima di Franco Basaglia, è così dopo una rivoluzione
radicale nel bene e nelle radicalizzazione di comodo, tradita dalla fretta
sommaria della superficialità politica.
Fasce di
contenzione e dialogo, colate di psicofarmaci e terapia della parola si
spintonano nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, i “repartini”
ospedalieri, solitari avamposti della lotta alla follia, dove si affrontano le
fasi acute dei disturbi, talora violente. Tra episodi della propria
quotidianità e analisi degli studi sulla mente, sul sistema nervoso, sui
farmaci, percorre i repartini Piero Cipriano in La fabbrica della cura mentale
(Elèuthera edizioni), “diario di uno psichiatra riluttante”.
Troppo giovane
per aver direttamente incontrato Basaglia ma non poer averne assimilato gli
ideali di restituzione della dignità del malato, Cipriano attraversa come
stanze di un castello kafkiano i manicomietti-lampo dove spesso – a fronte di
esempi di abnegazione ed efficienza – sembra si sia abdicato al principio
fondamentale – la sintonia con il sofferente – e ci si ritrovi, talora proprio
malgrado, in un dispensario di sedativi e anttipsicotici, recuperando e
rispolverando dalle antiche strutture cinghie per irriducibili e trasferimenti
in case di cura dotate di apparecchi per l’elettroshock, quando si ritengano
vani gli altri strumenti.
L’amarezza di
queste pagine nasce dal constatare che se prima si finiva anche per una
sciocchezza in lager perenni, oggi si transita in linee di montaggio dove in
pochi giorni si coprono le falle più evidenti e si restituiscono al mondo,
confidando nei Servizi di salute mentale del territorio, anime soltanto in
superficie placate, lasciando inalterata, salvo realtà felici, la solitudine di
malati, parenti, operatori stessi.
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